Un’esistenza dalle caratteristiche antieroiche, potremmo dire, soprattutto nel finale. Una vita come può essere quella di tante persone del nostro tempo, in cui resilienza significa anche resistenza alle tentazioni del vittimismo e del languore di fronte alle sberle lasciate dal tempo. Ne è protagonista Marco Carrera, detto il colibrì per la sua bassa statura (che una cura ormonale comunque correggerà). Si guadagna la vita come oculista, tra la sua casa in città a Firenze e quella al mare in Maremma. Il colibrì è un romanzo la cui principale caratteristica sul piano della struttura sono i complessi salti temporali: un procedere e un retrocedere nel tempo ormai così frequente nella narrativa da essere diventato più che una moda, spesso un vizio, per chi non lo riesce a controllare in modo sagace. Veronesi non cade nella trappola, perché il lettore attento sa come gestire questa architettura che copre la vita intera di Marco Carrera, dall’infanzia con i genitori Letizia e Probo, attraverso varie prove dell’esistenza, fino alla fine. Un matrimonio finito male, vite fragili che cercano rifugio nella psicanalisi, tragedie importanti che puntellano la sua vita, una relazione a distanza con una donna a Parigi, le cui lettere in corsivo danno il ritmo alla narrazione. Oltre ai personaggi, principalmente raccolti nel nucleo familiare, tanti sono i temi su cui la lettura invita a riflettere: il dolore su tutti. Dolore nella mente di Marina, prima moglie di Marco, e in quella della sorella Irene. Dolore nel corpo per altri. Dolore nel cuore per il distacco dal fratello Giacomo. Dolore che porterà via a Marco tanti affetti, per strade differenti. E nel dolore si spegnerà il racconto che vive della forza di un protagonista che come tanti uomini del nostro tempo deve fronteggiare un disagio che è totale perché unisce corpo e anima, perché avvolge nelle docili garze di una terapia narrativa i frammenti devastati di un gruppo di persone che il tempo fa di tutto per disunire, ma alla fine troveranno l’occasione per ritrovarsi. Ma chi è il vero protagonista? Esiste un protagonista? Marco lo è davvero? È lecito chiederselo, non foss’altro perché nel procedere del racconto prende sempre più campo, pagina dopo pagina, un altro personaggio che trovo straordinario: la nipote Miraijn che vive con lui e che avrà il compito di consegnare il messaggio del racconto. Lo consegnerà con la sua misteriosa bellezza orientale, con il mistero dei suoi occhi a mandorla e con il mistero del suo nome che significa “uomo nuovo”. A lei si affida quel canto alla vita la cui bellezza non risalterebbe se non ci fosse il dolore.
Sandro Veronesi, Il colibrì, Nave di Teseo, Milano 2019
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