La curiosità è roba da gatti, si dice. Luogo comune quanto si vuole, ma vero in modo sacrosanto. Ebbene, la curiosità mi ha messo tra le mani Diario di un cinico gatto di Daniele Palmieri (Salani 2018). E sentirsi un po’ felino, non fa male dopo averlo letto: può essere un effetto collatetale. Un appetitoso e ironico diario che prende la forma di un vero e proprio romanzo di formazione e di viaggio nella seconda parte, per me la più bella, più coinvolgente, perché avventurosa, perché scritta bene, perché narrata avendo sempre come punto di vista un gatto. Non deve essere stato semplice. L’espediente, alla resa dei conti, dà il suo buon frutto, sotto vari punti di vista, nonostante le dimensioni del libro siano tali da non scoraggiare sicuramente il lettore appassionato e allenato, ma da non attirare immediatamente quello più giovane, a cui questo libro potrebbe piacere. Lo consiglierò ai miei studenti sicuramente. Ho parlato di un buon risultato sotto vari aspetti. Quali? Innanzitutto l’ironia che, se ben trattata e dosata – il lettore esperto lo sa – mantiene sempre alta l’attenzione; poi il punto di vista del gatto, che la scelta della prima persona e dell’andamento solo vagamente diaristico (il titolo svia forse volutamente?), obbliga a conservare fino alla conclusione; infine, l’attenzione ai comportamenti dell’uomo, a quegli ‘stupidi umani’, che, pur essendo figure marginali nell’economia narrativa, finiscono per conferire al libro l’aspetto di una sorta di breviario di filosofia, almeno perché evitiamo tanti errori, di cui molti di noi neanche si accorgono, non cadiamo in certe generalizzazioni e luoghi comuni, proviamo a pensare anche con gli occhi di qualcun altro che fa parte come noi di questa bellezza che si chiama anche biodiversità. Ho due gatte (quelle in foto) e questo sicuramente è un aspetto che mi mette dalla parte del recensore condizionato nelle sue valutazioni, ma vi assicuro che per apprezzare questo libro non è necessario averli. Anzi … Non solo: quelle due gatte che per dormire si acciambellano una sull’altra potrebbero sfatare proprio uno di quei luoghi comuni che vorrebbero il gatto asociale e solitario, uno di quelli che questo libro considera aspetto del carattere individuale. Delicatissime e di rara sensibilità le pagine dedicate ai tre mostri, gatti isolati perché affetti da deformità fisiche. Insomma un libro che, dietro la sua parvenza di racconto per tutti, ironico, semplice e un po’ cinicamente disincantato, alla resa dei conti finisce per avere persino delle pretese quasi (la sparo grossa!) educative. Nei tanti gatti che appaiono come personaggi del libro si possono, infatti, vedere riflessi, con uno stile assolutamente riuscito sul piano della scrittura, le varietà dei tipi umani che quel viaggio che si chiama vita ci fa conoscere e incontrare. Ed è bello che il romanzo si concluda con una profonda riflessione, che lascio a voi godere, proprio sul significato dell’incontro.
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