La colazione al bar, nelle città di provincia, è spesso il momento per gli incontri inattesi: questa volta un genitore di un ex alunno, situazione che, si può immaginare, in una città di centomila abitanti dopo ventisette anni di servizio e un centinaio scarso di nuovi genitori ogni anno, diventa piuttosto frequente. Si parla del più e del meno e alla fine la discussione si fa interessante. Il mio interlocutore sostiene che il ruolo dell’insegnante come educatore si dovrebbe manifestare anche nella capacità di scegliere chi può o chi non può andare avanti. Sostiene anche che la scuola che promuove tutti fallisce rispetto alle sue finalità educative, perché il mondo del lavoro oggi è estremamente selettivo. Ascolto con attenzione, perché in queste occasioni mi rendo conto dello iato tra le prassi educative sul piano pedagogico e didattico e gli ingranaggi sociali del mondo lavorativo in quasi tutti i settori, soprattutto in quelli che, con orribile parola, si chiamano produttivi. Rincara la dose il mio interlocutore, dicendo che gli studenti arrivano alla fine del loro percorso di studi senza sapere scrivere correttamente, senza saper fare collegamenti logici, senza saper calcolare. Questo, del resto, si sente dire, si legge un po’ dappertutto, ormai come un mantra. Ebbene? Occorre una risposta. Ho tante idee che frullano. Gli argomenti non mancano. Bisogna metterle in ordine. Ci provo.
“Lei è dirigente in uno stabilimento industriale nel settore chimico. Io insegno lettere classiche. Lei è appassionato lettore di storia antica. Io ritengo che un approccio analitico, proprio dello statuto delle discipline scientifiche, sia ormai entrato nella mia prassi didattica. Dunque, i presupposti per trovare un punto d’incontro ci sono. Nonostante questa modalità di approccio, mi ritengo all’antica nella mia prassi didattica. Perché? Guardi, la risposta è molto semplice: lo sono perché credo nel valore educativo della lezione frontale. Credo nella forza propositiva della figura dell’insegnante come modello culturale, come paradigma di un’azione dettata da una formazione, di un’attività professionale intesa come elezione, passione e dedizione. Ho sperimentato anche altro prima di arrivare a questa convinzione. Dunque, non sono pervenuto a questa conclusione del valore formativo della lezione frontale semplicemente in virtù del fatto che tutti diventiamo tradizionalisti con il passare degli anni, qualcuno dice conservatori, usando una parola che mi è sempre piaciuta poco. Ci sarà anche del vero, ma credo di poter dire che sono sempre stato un tradizionalista, per il fatto che la tradizione non è la vacua nostalgia del buon tempo che fu, come generalmente si pensa, ma la consegna ai posteri di quanto l’emittente di un messaggio, portatore di una personalità intrisa dei contenuti che lui ha scelto, a sua volta sceglie da consegnare a un destinatario, nella fattispecie i suoi alunni. Dunque tradizione significa setaccio. Conservazione significa altro. Tradizione significa apertura al cambiamento e al futuro, memori dell’esperienza pregressa. Conservazione significa lasciare tutto com’è, con un atteggiamento che personalmente ho sempre giudicato passivo e soprattutto condizionato da un bagaglio di elementi assunti acriticamente, insomma, pregiudizi. Insegno lettere classiche, dunque materie a contatto con i testi. Lavoro principalmente nella lettura e nell’analisi dei testi. Ma sono laureato in storia, ho un dottorato in storia antica e la ricerca storica, che ho praticato per anni, parte da una rigorosa riflessione metodologica sull’esegesi delle fonti. La prassi didattica a cui mi attengo oggi è dunque di tipo applicativo: si legge, si analizza la lingua, lo stile, si traduce, si presta attenzione al delicato momento del passaggio tra la destrutturazione da un codice alla ristrutturazione in un altro codice, si lavora sui temi, si approfondisce passando dal testo al contesto con l’analisi delle relazioni intertestuali e, laddove possibile, extratestuali. La metodologia è questa. Chi la fa sua impara l’arte della profondità analitica nella lettura, nello studio e nella conoscenza di tanti testi come condizione imprescindibile per l’elaborazione di una sintesi complessiva. L’intendimento è quello di mettere nella condizione di divulgare con cognizione di causa, sulla base di argomenti e non di giudizi preconfezionati, come accadrebbe se non si partisse dal testo, ma lo si utilizzasse soltanto per dimostrare quanto precedentemente sostenuto in sede storico-letteraria. La lezione frontale diventa pertanto occasione per presentare una modalità di lettura di un periodo storico o di un autore, che non sarà mai perfetta, in quanto sempre più o meno condizionata dalla personalità del docente, ma avrà un suo particolare calore umano e non lascerà mai l’impressione di qualcosa di asettico. Non occorre avere qualità eccelse. né tanto meno cadere nella trappola di considerare la professione una pretesa. È un lavoro di responsabilità, come il suo, ma con una differenza: mentre lei riceve una pianta già cresciuta e deve fare con quello che ha, il mio compito è di far di tutto perché cresca bene. Occorre studiare, leggere, praticare quella fatica e quel piccolo sacrificio di quotidiano dialogo con i classici, che diventa anche un esercizio e un allenamento per la mente. La lezione frontale intesa come momento di confronto analitico sul testo presenta un enorme vantaggio rispetto a quella intesa puramente come trasmissione di un messaggio preconfezionato: mette a nudo il docente con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, perché sarà sempre il frutto di quella differenza che sin dalla nascita ci rende tutti assolutamente originali. La lezione frontale è un antidoto all’omologazione delle menti, perché propone un esempio. Sta al singolo docente dare a quell’esempio la forza necessaria, con l’uso sapiente e bilanciato della retorica e della dialettica. L’insegnante, diversamente dal politico, non deve convincere, ma educare; non deve persuadere, ma proporre esempi attraverso i testi, la loro analisi, attenendosi alle procedure che l’esperienza e il confronto professionale insegnano e aiutano a declinare secondo le esigenze e le attese degli studenti. La lezione frontale è interazione continua tra chi parla e chi ascolta, in un processo che vive una sua continua evoluzione, e per questo non può essere incasellata in schemi. Vive di una sua vita che non conosce regole prefissate, ma solo tendenze che hanno bisogno di una guida. Se la scuola si rendesse conto che questo è il cardine della funzione docente, tante aberrazioni, carenze e storture, di cui le parla. sono sicuro che non ci sarebbero. Non occorre essere dei geni per capire che un dirigente di una scuola deve mettere i docenti nella condizione di essere esempi, perché educare non significa ridurre a schema, ma condurre fuori, mettere nella condizione di affrontare con spalle forti le sfide della vita. Forse si stupirà se le dico che a me interessa non tanto che i miei studenti conservino la conoscenza delle regole linguistiche, ma il metodo di analisi dei testi, perché è l’unica scuola utile a formare una personalità che sappia un giorno costruire una sintesi con cognizione di causa.”
Il mio interlocutore ascolta con attenzione e mi dice: “Rifletterò. Ci sono dettagli che mi sento di condividere subito, altri su cui dovrei pensare di più. Ma mi sento di dirle una cosa per il momento. Il mondo del lavoro avrebbe tanto da imparare sulla scuola e dalla scuola, prima di tranciare giudizi. Mi piacerebbe assistere a qualche lezione.”
“Credo che tra i miei colleghi tanti la ringrazierebbero se lo facesse. Ma credo che lei stesso si convincerebbe di quanto sia vero che non si smette mai di imparare. Eppure, sembra un ostacolo insormontabile avere l’umiltà di ammetterlo, come lei ha appena fatto.”
“La prossima volta mi piacerebbe parlare di docimologia e valutazione, se non le dispiace.”
“A sua disposizione. Come vede, i bar offrono occasioni per bellissimi incontri. Questa del sabato è una mia ora libera, utile per un caffè rigenerativo. Lei sa dove trovarmi.” E ci salutiamo.
Bel dialogo. Il problema principale della scuola di oggi è essere spesso al traino della società. Rimettete al centro la scuola significa rimettere al centro il suo compito fondamentale: educare istruendo! Basta quindi con l’uso di attributi importati da altre realtà sociali.
Produciamo anche noi. Produciamo menti. Le educhiamo. Le mettiamo di fronte alle sfide più difficili.