Paesaggi

Ci sono paesaggi che hanno una carica attrattiva tutta particolare. Tanti dicono che a loro piace il mare. E pubblicano post pieni di foto scattate al mare. Poi mediti e ti rendi conto che quelle foto non riflettono un amore per il mare, ma per se stessi al mare. E ti chiedi se sia la stessa cosa. Ti dai la risposta che non lo è. Ma per loro lo è. Allora qualcosa forse non va. Non va in loro o non va in te? Bella domanda! Il mare a me fa paura. Non entro in dettagli noiosi, che richiederebbero lo scandaglio di un passato gelosamente mio. Mi piace ribadire soltanto questo: il mare mi fa paura. Il che non significa che il mare non possa esercitare anche su di me una certa attrazione. Al contrario. Eccome, se la esercita. Il mare in tempesta, le onde alte che scavalcano da parte a parte la diga foranea, i capanni che ti chiedi come facciano a resistere, il vento senza barriere che corre libero e liberamente devasta tutto, quel mugghiare crudele e feroce che solo il mare incattivito riesce a produrre e che risale da abissi che sai non essere solo fisici e geologici; le dighe di sabbia che da ottobre a maggio l’uomo è costretto a costruire per esorcizzare questa stessa paura. Tutto questo esercita una potente attrazione in me: mi fa sentire complice di quella primordiale fierezza che non conosce freno e che, quando risale, comanda, impone, ingiunge e non sopporta obiezioni di sorta.

Eppure di altro vado alla ricerca. Ambisco, il più spesso invano, a paesaggi che infondano ricariche di serenità. Una serenità soltanto apparente. Ma non importa. So che lo è. E mi basta. Li cerco dappertutto, ma non sulle coste, né sulle onde. Li trovo qualche volta in immagini illusorie. Popolano sogni mai realizzati e ricchi di un’indicibile e malinconica bellezza; sogni belli sicuramente soltanto per questa ragione. Questi paesaggi non hanno un correlato chiaro, evidente. Si manifestano sotto le più svariate declinazioni. Assumono morfologie anche diametralmente opposte. Vivono di palesi contraddizioni. Insomma, sembra che l’unica cosa che li unisca sia soltanto lo spirito della differenza.

È il paesaggio di una dolce collina, disegnata dall’uomo con i suoi giropoggio e lunghe file di cipressi che conducono a dimore meravigliose nel loro vetusto degrado, ricche di una tradizione che pochi sanno conservare e che in certo senso nobilita quello stesso degrado.

È il paesaggio di una frangia rocciosa che dall’altro dei suoi tremila metri di altitudine domina una vallata eternamente insonne per i pericoli che essa da secoli minaccia.

È un fiume che oggi scorre placido in una vallata i cui coltivi e prativi offrono da secoli quella ricchezza che lui ha consentito, anche se ieri è impazzito, ha scavalcato l’argine, la sua camicia di forza, ha distrutto le dimore di chi quell’argine volle, ha dato prova di una forza d’animo che l’uomo non ha mai voluto ascoltare dal canto delle sue acque.

È una chiusa che di un fiume fa tanti canali, che si disperdono nella nebbia delle basse e scompaiono in un orizzonte di campi, ricordando la fatica del lavoro di un tempo, le miserie che quei canali hanno alleviato, il benessere che ha preso il posto del malessere e dei miasmi che la putredine del fiume in città recava.

Sono questi i paesaggi di cui mi sento complice. Non mi attraggono per la paura che infondono. Mi attraggono perché sono come me.

2 risposte a "Paesaggi"

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