In questa dimensione sospesa, senza assiti su cui poggiare e senza tetti su cui confidare, senza traguardi da raggiungere, ma anche senza poter identificare un punto preciso da cui si sia partiti, mi ritrovo in una pietraia, non so dove. Nuda roccia tutt’intorno. Vento freddo. Ti avvolge e asciuga il sudore che copioso scende per la fatica del salire. Nient’altro che sassi vedo, distese sconfinate di pietre. Eppure, non mi sento spaesato, né a disagio. C’è qualcosa che mi attrae, da qualche parte, lassù. Si intravvede un puntino giallo.
Il papavero retico non si concede facilmente. Vive solitario. Conquista la sua roccia, lontana da sguardi curiosi e morbosi, e se la tiene cara. Se lo vuoi vedere, devi superare i 2000 m di altitudine, devi arrancare su impervi ghiaioni, devi aguzzare la vista tra sassi millenari, devi cercare dove nessuno quasi mai osa, devi faticare e soffrire dove il vento raggela e il ghiaccio scompare soltanto per pochi mesi, devi arrampicarti con corde, imbraghi e moschettoni là dove i camosci saltano graziosi e liberi e ti umiliano. Il papavero retico li sa sfruttare, quei pochi mesi. Sa di essere prezioso, ma a lui non importa nella sua maestosa solitudine: lui non vuole che tu fatichi e soffra, ma sa perché lo fai. Solo un ciuffo di sparute foglioline verdi alla base lo protegge. Il suo giallo tenue ti conquista. Appena lo riconosci ti fa capire la forza della vita, ti fa capire come anche nelle situazioni più difficili la vita vinca sempre su tutto quanto la vorrebbe sconfitta, ti fa capire come la solitudine sia un premio di natura, una vittoria per sconfiggere superbia, arroganza, invidia altrui. Forse per questo lo guardo con rispetto, a distanza. Ora lo distinguo bene. Non lo fotografo. Non so se nemmeno se in questa particolare dimensione avrei i mezzi per farlo. Nei sogni tutto sa di antico, non si scattano foto, si affida tutto soltanto allo scrigno che conserva quei segreti del tempo che proprio in quel momento, eccezionalmente e spesso inspiegabilmente, si apre per te. Lui ti guarda, tu lo guardi. La forza dei suo colore giallo ti conquista. È una forza della natura. La ammiri e la rispetti. Soltanto questo puoi fare, per ringraziare del dono che hai avuto. La forza con cui il solitario fiore conquista i sensi lo conserverà eterno nella memoria, eterno quanto eterna sarà quella stessa memoria. Eterno quanto eterna sarà quella forza che mi dà al risveglio da questo sogno, lui, il fiore più bello, il mio fiore di sempre. La vita ha bisogno di questa forza e di tutte le immagini che la rappresentino per te. La vita ha bisogno di abbarbicarsi a quello che trova per resistere alle potenze che la combattono; ha bisogno di rappresentarsi nel sogno queste icone e queste emozioni di vittoriosa, ma mai superba, solitudine. Una solitudine umile, semplice e naturale. La vita ha bisogno di questo fiore fragile e forte per andare avanti e vincere gli ostacoli. Richiede simboli immortali, come immortale è il ciclo vitale che fa nascere e rinascere, il mio papavero retico. E il sogno non mente. Neanche questa volta.
Vorrei donarlo a te, ma il destino vuole che lui ci parli da dove per noi non sarà mai facile giungere. Essere trasportato lassù con lui è la forza con cui reagisco, con l’immaginazione. È il potere ineffabile del sogno: immaginare. Immaginare che anche tu sappia condividere quest’energia immune da debolezza è il mio auspicio. Immaginare che anche tu sappia che una solitudine dettata dagli eventi della vita può essere una vittoria, può essere rappresentazione di forza, può essere un simbolo dell’umile accettazione del fare parte di un ordine naturale delle cose. Immaginare che anche tu condivida queste emozioni. Immaginare di vivere tutto questo è quella domanda che è inevitabile e naturale, e per questo bello, che ogni sogno ci lasci.
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