“Ciao. Posso farti una confidenza?” [faccina pensierosa]
“Certamente!”
“Mi sento attratta dalle persone molto più mature di me.”
“E ti sembra strano?”
“Non so se strano o cosa … Mi sembra che gli altri non capiscano. Mi sento vittima di una specie di convenzione.”
“Capisco … Fregatene degli altri.”
“Non è facile.”
“Capisco anche questo. Mi viene in mente un’immagine, sai …?”
“Quale?”
“Ne verrebbe fuori un aforisma. Non mi sono mai piaciuti gli aforismi.”
“Perché?”
“Perché è come una testa senza un corpo. Mi piace partire dalla riflessione che introduce l’aforisma, ma poi sento il bisogno di svilupparla, abbellirla, interpretarla. Invece l’aforisma dovrebbe essere qualcosa di asciutto, buttato là, come le citazioni che la gente usa su facebook, spesso senza un senso, copiando e incollando quello che trova così come viene. Anche l’aforisma finisce per essere così. Passa di bocca in bocca e perde valore. Solo la riflessione che tu gli cuci addosso glielo restituisce.”
“Concordo. Però sono curiosa lo stesso. Qual è questo aforisma?”
“Parlavi dell’amore e dicevi di sentirti attratta dalle persone più mature di te. Ecco come lavora la mia testa. Mentre tu parlavi vedevo un treno.”
“Interessante. E che fa questo treno?”
“È l’amore.”
“Ora anche intrigante … Va’ avanti!”
“Beh, dammi il tempo per cucire insieme le parole e trovare quelle giuste per l’immagine.”
“L’immagine del treno?”
“Sì, quella.”
“Mi piace questo gioco.”
“Giocare con le parole?”
“Con la magia della parola.”
“Credo di essere pronto.”
“Spara!”
“Eh no! Se usi quelle parole, la magia non c’è più. Non sparo proprio niente.”
“Come sei pignolo!”
“Non sono affatto pignolo. Voglio creare soltanto il clima giusto. Bene. L’immagine prende questa forma. Sta’ attenta! La forma di un treno.
“L’hai già detto.”
“L’amore è come un treno. Non importa come sia. L’unica cosa che conta è dove va. E non farselo scappare, perché hai guardato con ansia per tante volte l’orologio. Se non lo prendi in tempo, lui parte comunque. Senza aspettarti. Ti lascia qui, sulla banchina, con le valigie in mano, senza sapere cosa fare, dove andare, come poter riprendere il viaggio. Il treno che passerà dopo sarà sempre un ripiego. Quello che hai perduto, è andato per sempre.”
“Insomma, una specie di versione moderna del carpe diem. Non ti sapevo epicureo.”
“Non lo sono, infatti.”
“Però il treno è andato. E le cose per me stanno proprio così.”
“Lui ti ha mollata?”
“No. Io ho mollato lui.”
“Capisco …”
“Il tuo lavorare per immagini me ne ha fatta venire in mente un’altra.”
“Normale. Le parole sono il virus più contagioso. Dimmi.”
“Una nuvola. Ho girato gli occhi verso la finestra e la prima cosa che ho visto è una grande nuvola nera, bassa, ma sai perché mi ha colpito?”
“Non riesco a immaginarlo. Possono venire tante idee, ma credo che solo la tua sia quella buona. Tu hai visto la nuvola. E a te quella nuvola sta parlando. Tu stai dando forma con le parole a quella nuvola. Ma, aspetta …”
“Cosa c’è?”
“Oggi il meteo dava sereno.”
“Ecco … Ci sei vicino.”
“Intrigante. Mi piace questo gioco. Stai cercando le parole?”
“Sì.”
“Aspetto.”
“Credo di esserci.”
“Sono qui.”
“Mi piace di pensare all’amore come questa nuvola. Una nuvola che si forma non prevista. Ti piove addosso secchiate d’acqua. Poi, quando ha finito il suo lavoro, basta un refolo di vento che sparisce. Quello che resta, signore del cielo, è un sole beffardo, sguaiato, che ride della tua devastazione. E l’amore? Chissà dov’è andato? A fare altri danni, sicuramente.”
“Hai vinto.”
“Perché?”
“Perché prima qua non c’era nessuna nuvola.”
“E adesso?”
“Devo proprio controllare?”
“Sì.” [pausa] “Allora?”
“Adesso sì. C’è una grande nuvola nera qui sopra. E …”
“E?”
“È arrivato anche il treno.”
“Allora, non perderlo.”
“E se lo perdo?”
“Resterà solo la nuvola.”
“E dopo la nuvola quel sole insensibile, beffardo e sguaiato, che hai detto tu?”
“Sì, quello.”
“Non lo perderò.”
“E dove ti porta quel treno?”
“Lo vuoi proprio sapere?”
“Se pensi che sia importante, sì.”
“Credo che vado proprio dove va la nuvola.”
“E dove va la nuvola?”
“A fare danni.”
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