Leggere un libro ambientato tra Hong Kong e Macao, relitti coloniali dal destino molto diverso, separate dalle acque di uno stesso specchio di mare, nei giorni in cui Hong Kong è al centro della cronaca rimette in modo strani meccanismi della memoria. E il fatto che il protagonista Lord Doyle sia un nobile inglese, che diremmo decaduto, con il vizio del gioco e quello del piacere che dovrebbe edulcorare i dolori del primo, fa il solletico a quella memoria e richiama in superficie un mondo che teoricamente non dovrebbe esistere più per noi che ne viviamo quasi agli antipodi. Eppure quel lascito vive ancora e vivono sempre di più quelle case da gioco, con tutta l’umanità che attorno ad esse e grazie ad esse vive. Una complessa figura di donna squillo cinese, buddista, affianca Lord Doyle, lo salva, appare e scompare, ha una storia con i suoi segreti. Lei, più che il protagonista, forse ci potrebbe aiutare a capire quanto la Cina di oggi cammini veloce e sfugga ad ogni frettolosa definizione. Cosa resta alla fine? Una riflessione, cruda ed essenziale, sul fascino del piacere e dell’effimero, senza orpelli, senza giudizi, come è giusto che sia per un narratore inglese che in quell’Asia è nato e in quell’Asia è vissuto.
Lawrence Osborne, La ballata di un piccolo giocatore, Adelphi, Milano 2018
Rispondi