Le donne di Alice Munro

Sono personaggi a-valoriali. Per questo oggi piacciono. Acquistano spessore per la loro voluta mancanza di spessore. Non esiste indagine introspettiva che li porti a scavare nel passato. Non ci sono speranze che li conducano verso un traguardo futuro. Vivono di un tempo presente quasi agostiniano, che non si può definire. Saltano irrequieti attraverso il tempo, questi personaggi. Ma attraversano anche tutti gli spazi noti a chi ne tiene i fili: le città con le loro anonime periferie che hanno smarrito ogni correlato di identità, i piccoli centri separati da enormi distanze dove tutti devono, per forza di necessità, saper fare tutto. Saltano di qua, saltano di là. Fanno tanti lavori e non ne fanno nessuno. Cercano tanti affetti e ne trovano pochi, instabili ed effimeri. E sfuggono a ogni definizione. Come definire ciò che appare narrativamente costruito per non essere definito? Come descrivere ciò che intenzionalmente manca di un contorno, appare sfumato, colpisce e resta impresso proprio per il carattere indefinito delle sue morfologie indescrivibili? Sono nomi che non si declinano, perché esprimono un’idea tanto universale quanto impalpabile. Chi vi cerca modelli, non li trova. Chi vi cerca una traccia di sentiero su cui impostare un itinerario, si smarrisce. Così facendo, agisce come loro, come quei personaggi. E forse così facendo, rinunciando a ogni pretesa di critica, rinunciando a ogni categoria adusa, rinunciando persino ai consueti canoni del recensire, esercita nel modo migliore il suo semplice mestiere di lettore.

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